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Ma non sono tutte rese e fiori
Il rilievo economico e sociale che riveste su quasi tutto il globo rende
il grano (insieme al riso) la coltura più importante praticata
dall’uomo. In Europoa il grano è coltivaqto fin dall’età
della pietra, in MedioOriente a partire dal 2000 a.C. mentre nelle americhe
è giunto
solo dopo la colonizzazione europea. Per comprenderne l’importanza
basti pensare che nel mondo si producono circa 390milioni di
tonnellate di frumento all’anno, su una superficie di 230milioni di
ettari (quasi cento volte l’estensione della Sardegna). L’ex Unione
Sovietica produce da sola un quarto del totale, seguita da U.S.A.,
Cina , India, Canada, ecc.; l’Italia è solo nona in questa classifica
con una
superficie coltivata a grano, alla fine degli annni ‘70, di 3,5 milioni
di ettari.
Fino al 1972 gli interventi della Comunità Europea in questo
comparto come in altri, sono stati rivolti a favorire l’incremento della
produttività, con contributi che invogliavano le aziende agricole
ad aumentare la quantità del prodotto, spesso a scapito della qualità.
Questa politica ha finito per creare il fenomeno delle "eccedenze"
in ambito comunitario, con negativi riflessi sulla formazione dei prezzi.
Si
è così cambiata strategia e la Comunità Europea
ha cominciato a favorire la deproduzione: l’obbiettivo era lo stesso che
in altri comparti
ha portato all’introduzione delle "quote" e che per il grano è
stato invece perseguito con il "Set-Aside" cioè un sostanzioso contributo
economico annuale agli agricoltori che si impegnavano ad abbandonare
i terreni seminativi, con l’obbligo di non coltivarvi assolutamente
nulla. Durante tutti gli anni Ottanta, con questo perverso meccanismo,
si è registrata una progressiva e spaventosa riduzione della
superficie coltivata a grano, con gravi ripercussioni sulla tutela
del territorio e sullo spopolamento delle campagne.
Da qualche anno il Set-Aside è stato abolito e la produzione
europea di grano è notevolmente aumentata, si tratta comunque di
una coltura
che si presenta per gli agricoltori decisamente poco remunerativa.
In Sardegna è molto raro produrre più di 25 quintali ad ettaro
e il prezzo
è ormai calato a livelli bassissimi: dalle 32 alle 34.000 £
al quintale. E se è vero che la meccanizzazione ha oggi ridotto
i costi, sono
comunque necessarie 6-7 giornate lavorative per seguire, dalla preparazione
del terreno alla raccolta, un ettaro di grano. A ciò si
aggiungano i costi per l’acquisto della semente, dei concimi, dei diserbanti,
dei fitofarmaci e per la mietitrebbiatura. Da anni la situazione è
tale che se non esistessero i contributi pubblici ben pochi agricoltori
produrrebbero grano. La Comunità Europea eroga attraverso un
apposito ente, l’EIMA (ex AIMA) una integrazione al reddito (circa
500.000 £ per ogni ettaro coltivato a grano) in e -per quanto sia
amaro
riconoscerlo - sono queste erogazioni che mantengono oggi in vita una
coltura di tradizioni così antiche e nobili.
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