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Chitarre, batteria, armonica, voce. Niente elettronica, al massimo un po’ di corrente elettrica. Si chiamano Tripmakers e i loro viaggi sono, più che mentali o spaziali, temporali. Vanno indietro nel tempo, i Tripmakers: molto negli anni 60, un po’ nei settanta che partono dal settantasette, un pochino nella metà degli anni ottanta ( ma solo perché c’era stata la riesplosione del garage). Quando nascono, nel ’94, i Tripmakers vogliono suonare solo Sonics e garage-punk. Poi le cose diventano più serie, crescono le ambizioni, cambia l’organico e arrivano i primi pezzi propri. Nel febbraio del 96 partecipano alla Night of the Phantom, rassegna dei migliori gruppi sixties isolani organizzata dalla For Monsters di Roberto Vallebona. Sempre nel ’96 esce il primo demotape, mentre un anno dopo, con Vallebona che li spinge a fare di più, nascono le basi dell’E.P. che sarà poi pubblicato nel 99 e distribuito dalla mitica Helter Skelter di Roma. Nel 97, luglio, la band si fa vedere al festival Beat di Castel San Giovanni (ottimo combo di Cagliari, dicono le fanzines dopo l’evento) e, annunciata dalla stampa locale con tanto di titoloni e foto, fa partire in Valle d’Aosta il suo primo minitour nazionale. Alla voce, c’è il nostro Gianmichele Deiana. Il ’98 è l’anno nero, poi arriva la rinascita. L’ex Orange organics ( buono davvero il loro demo) Luca Olla, l’ex Metanolo Fabio Basciu e l’ex B Tales Paolo Demontis cambiano il suono della band, aprendo nuove prospettive, sempre rigorosamente retrò ( Pretty Things- vedi la cover Carolyn- lisergiche emanazioni di Yardbirds più che di Fuzztones, e punk 77, Heatbreakers e Dead Boys). Il nucleo storico: Antonello Fadda al basso, Mauro Aresu, chitarra, Gianfranco Puddinu, batteria. Il disco Perché Low Fi ? dicevano alla Rai, radio, ai tempi di Stereonotte, parodiando Masini. Perché senza filtri, manipolazioni e suono pulito è tutto vero e tutto più bello. Così pensano i Tripmakers: niente cd, solo vinile, cover in bianco e nero, mono sound e musica grezza, direttamente dal cuore. I pezzi sono 4 e l’avvio travolge subito. Si chiama She’s here ed è puro punk 77. Magari è una questione di gusti e di ascolti, ma
la vera perla è proprio questa. Si continua con Wrong girl e qui
si sente tutta la svolta ( che poi svolta non è,ma una semplice
deviazione in territori storicamente vicini) rythm’n’blues: l’armonica
la fa da padrona, si parte piano, si accelera (la parte migliore) e poi
si decelera. Forse non aveva tutti i torti chi scriveva ( Filippo Ferrari
su Bassa Fedeltà) che "il gruppo dà il meglio di sé
nei pezzi più serrati e selvaggi" Si cambia lato, ma la qualità
rimane alta. Carolyn è una cover, ben fatta, dei Pretty Things,
I don’t remember your face è un misurato saggio di eclettismo. .
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