Il processo è diventato giusto
Dopo un fiume di polemiche, dopo interminabili discussioni e accuse
incrociate, il nostro
Parlamento ha finalmente partorito la tanto agognata (o temuta) riforma
costituzionale che va
sotto il nome di "giusto processo".
Si tratta di una riformulazione dell'art. 111 della Costituzione, il
quale adesso, nella parte
modificata, recita: "La giurisdizione si attua mediante il giusto processo
regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni
di parità, davanti a giudice
terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel
processo penale, la legge
assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve
tempo possibile, informata
riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo
carico; disponga del tempo e
delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà
davanti al giudice, di
interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni
a suo carico, di ottenere la
convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse
condizioni dell'accusa e
l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita
da un interprete se non
comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. Il processo
penale è regolato dal
principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza
dell'imputato non
può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi,
per libera scelta, si è sempre
volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato
o del suo difensore. La legge
regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio
per consenso
dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva
o per effetto di provata condotta
illecita".
Il solo fatto che la riforma sia stata battezzata "giusto processo"
impone qualche riflessione.
Innanzitutto, la maggior parte delle norme in essa contenute non fanno
altro che riprendere
identiche statuizioni di convenzioni internazionali in argomento.
In secondo luogo, il ribadire in continuazione questo concetto porta
inevitabilmente a pensare
che il sistema giudiziario italiano, e soprattutto quello penale, si
sia fino ad ora trascinato in una
situazione di assoluta illegalità e prevaricazione per i cittadini.
Un fatto comunque è certo: ben pochi (o forse nessuno) dei sedicenti
garantisti dell'ultim'ora (dei
quali troviamo validissimi esponenti a destra ma purtroppo anche a
sinistra), che si sono battuti
a spada tratta per la riforma, erano altrettanto pronti a combattere
ed a issare barricate quando in
Italia vigeva un codice che regolava un processo inquisitorio, in cui
i legali erano relegati a
poco più che comparse, e nel quale le garanzie della libertà
personale erano pressoché
inesistenti.
E si badi bene che non mi sto riferendo al secolo scorso, ma alla situazione
vigente fino al 1989,
fino all'entrata in vigore del "Nuovo" Codice di Procedura Penale.
Ma, curiosamente, la necessità di un "giusto" processo non era
così sentita, come in questi ultimi
anni, forse perché allora la certezza dell'impunità era
una garanzia più forte e più efficace di
qualsiasi regola processuale (per quanto "giusta").
Certo, è difficile decontestualizzare la riforma, e osservarla
puramente e semplicemente come
una modifica (certo importante) del sistema giudiziario, ma ci proverò.
La prima parte della norma, che prevede come "ogni processo si svolge
nel contraddittorio tra le
parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale",
pone qualche dubbio: dal
momento che la norma non si riferisce soltanto ai giudizi penali (ove
ha pienamente senso), ma
anche a quelli civili, che fine faranno tutte quelle procedure previste
dal nostro Codice di
Procedura Civile, che consentono una prima fase senza contraddittorio?
Diventeranno
incostituzionali, o l'interpretazione riuscirà a salvarle, a
prezzo di qualche volo pindarico?
Né si può ignorare che il nuovo articolo 111 contiene
principi sicuramente condivisibili, ma
forse alcuni di essi troverebbero migliore applicazione in uno stato
non travagliato dalla
terribile realtà della criminalità organizzata.
Il fatto che l'indagato debba essere informato "nel più breve
tempo possibile" dell'esistenza di
indagini a suo carico, e debba esserlo compiutamente in relazione alla
natura delle stesse,
unitamente alla facoltà di poter interrogare immediatamente
i propri accusatori, se in astratto
potrebbe essere considerato corretto, di fatto elimina (o tende ad
eliminare) la possibilità di
svolgere indagini riservate, al fine di salvaguardare le fonti di prova,
o, nei casi più gravi, la
vita stessa dei testimoni e degli accusatori.
Né bisogna dimenticare che la violazione di tali norme (e di
quelle ordinarie di attuazione)
comporterebbe sicuramente l'inutilizzabilità delle prove raccolte
e degli atti compiuti.
Non solo, l'avverbio "riservatamente" aggiunto alla facoltà di
essere informati non può che
significare l'impossibilità per la stampa di dare conto dell'esistenza
di indagini, fino a che queste
non sfocino nell'esercizio dell'azione penale.
E' certo che da qualche anno l'esistenza di indagini è stata
ritenuta, molto spesso, una condanna
anticipata, ma si sarebbe potuto cercare un compromesso migliore tra
le garanzie dei singoli e il
diritto di cronaca.
E' importantissima infine (e pienamente condivisibile) l'ultima parte
dell'art. 111 (modificato),
che precisa come nessuno possa essere condannato senza aver potuto
interrogare e
controinterrogare il proprio accusatore.
Si tratta di quello che viene definito il "super 513", con riferimento
all'art. 513 del Codice di
Procedura Penale, che regola appunto le dichiarazioni degli indagati
in reato connesso, e che
tante vicissitudini ha avuto negli ultimi anni.
Certo, anche questa norma si presterà a strumentalizzazioni e
a storture, ma, se soprattutto la
legge ordinaria prevista dallo stesso art. 111 per la sua applicazione
sarà sufficientemente
articolata e organica, l'introduzione effettiva del pieno principio
del contraddittorio nel nostro
ordinamento è sicuramente da ritenersi una conquista (dimenticandosi
per un momento la genesi
di questa riforma).
Un'ultima considerazione va fatta in ordine al soggetto processuale
che è totalmente ignorato dal
"giusto processo", quasi che la sua partecipazione esuli da quest'ultimo:
la vittima del reato.
Non una parola, non una sillaba è dedicata alle vittime del reato:
la sua esistenza evidentemente
è irrilevante ai fini della correttezza del processo.
Certo, nel processo penale le garanzie per l'imputato sono (e devono)
avere la prevalenza, ma
non possiamo dimenticarci che i delitti creano delle vittime, delle
parti offese, la cui esistenza
non deve e non può essere totalmente negletta.
Giovanni Battista Gallus
g.gallus@tiscalinet.it
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