Periodico della Cagliari Metropolitana
l'indice

 
Giudice Unico
vantaggi ed ingiustizie

La recente riforma del giudica unico pone problemi che, solo in una visione restrittiva possono essere considerati di tipo
"organizzativo". E’ una riforma complessa, che si basa - come è noto - sull’idea che l’eliminazione della figura del Pretore
comporterebbe uno snellimento ed una maggiore funzionalità degli uffici giudiziari. Alla scomparsa della figura del pretore, si
accompagna la modifica della composizione del tribunale da 3 ad 1 componente nella stragrande maggioranza dei casi. Che
cosa succede nei fatti? Le preture reggevano fino al momento della loro soppressione, circa l’80% del carico delle cause civili e
penali. Queste stesse competenze sono passate ora (in due momenti successivi: il 2 giugno 1999 per il settore civile; il 2 gennaio
per il penale) al tribunale in "composizione monocratica", ovvero al giudice unico. Ad essere cambiata è in questo caso la
geografia della giurisdizione, con una definizione non sempre chiarissima dei confini delle competenze spesso non definiti con
norme transitorie. E cosi spesso non è chiaro a chi debba essere proposto un appello, un’opposizione e cosi via. Ma se questo
aspetto appartiene davvero a problemi organizzativi della riforma, in gran parte inevitabili e dei quali non è il caso di occuparsi
qui, di un altro invece vorrei discutere. Si tratta di una questione per cosi dire politica, attinente soprattutto al processo penale.
Nel settore civile i cambiamenti non sono sembrati devastanti: in realtà qui un giudice unico c’era già. Nel settore penale
viceversa il giudice unico rappresenta una novità assoluta.

I risultati non sono mancati in termini di celerità del processo: sbandierati come un trionfo di efficientismo. Una sentenza ogni 20
minuti, hanno titolato molti giornali. Un risparmio notevole di tempo, avrà pensato chi legge la notizia. Finalmente una giustizia
rapida. E tuttavia a chi nei processi penali (e anche civili) è abituato a legare una vicenda umana spesso dolorosa, questi 20
minuti danno da pensare. Davvero basta un tempo cosi ridotto per decidere della libertà di un uomo? Davvero è sufficiente il
giudizio di un solo, unico giudice, senza il confronto, il dialogo con un collega? Si dirà che questo tentativo "cammina" insieme a
quello di favorire la scelta dei "riti alternativi" (patteggiamento - rito abbreviato - procedimento per decreto) come sistemi che
tendono a sveltire (in termine tecnico deflazionare) il processo, privandolo del momento centrale del dibattimento. In Usa questi
sistemi funzionano egrgiamente, si dirà. E però per onestà si dovrà anche dire che in quel paese ad usufruire di sistemi che
impongono una condanna, ancorchè ridotta, sono in prevalenza neri, portoricani, messicani ed homeless, senza istruzione e
senza soldi. La giustizia costa, e allora avere un processo ("giusto" o meno è un problema secondario) diventa soprattutto un
fatto di soldi. Senza soldi si può avere una sentenza (di condanna) in 20 minuti: che costa poco ed ha una parvenza di legalità.
Chi invece i soldi li possiede può perfino pretendere un processo.

Di Rosanna Mura