Devo nuovamente occuparmi, mio malgrado, dei rapporti tra i reati legati allo sfruttamento sessuale dei minori e la società dell'informazione. Questa volta, l'occasione è data dalla distorsione inaccettabile che gli organi d'informazione (senza distinzioni) hanno compiuto, con riguardo alla recente decisione della Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunziarsi sul reato di cui all'art. 600 ter, commi primo e secondo, codice penale, che puniscono, con sanzioni assai pesanti, "chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico", e "chi fa commercio del materiale pornografico". Abbiamo appunto avuto occasione di leggere titoli quali: "Senza fine di lucro non è reato scattare foto hard a minori", o ancora: "pedofilia e Internet, senza lucro non c'è reato". Questi titoli sono frutto di una inammissibile distorsione dei principi sanciti dalla Suprema Corte: questa, difatti, si è limitata a stabilire come, per le ipotesi in cui un soggetto costringa un minore a sottoporsi a una seduta fotografica a contenuto pornografico, e poi tenga le foto per sé, non possa ricorrere l'ipotesi di reato prevista dall'art. 600 ter, comma 1, in quanto lo sfruttamento in quest'ultima norma previsto implicherebbe necessariamente un lucro. La Cassazione, in sostanza, ha ritenuto non sussistente l'ipotesi di cui all'art. 600 ter comma 1, ma non ha certo affermato che questo comportamento sia lecito: difatti, esso ricadrebbe comunque sotto altre ipotesi di reato, quali la violenza sessuale, la violenza privata, o, in ogni caso, la detenzione di foto pedo-pornografiche, punita (sia pur in maniera molto più lieve) dall'art. 600 quater del codice penale. Insomma, certo il legislatore (come spesso capita) non ha compiuto un miracolo di chiarezza nella formulazione degli articoli 600 bis, ter, quater e così via del codice penale, ma i redattori che si occupano ogni giorno di politica giudiziaria dovrebbero quanto meno conoscere l'enorme differenza che passa tra una riqualificazione del fatto, al fine di ricomprenderlo in una differente fattispecie di reato, ed il considerarlo invece come lecito, e, pertanto, dovrebbero possedere gli strumenti per riportare correttamente e compiutamente i provvedimenti giudiziari, soprattutto su materie così delicate. Ogni altra valutazione, ogni altro titolo strillato, è mero sensazionalismo che purtroppo poco dista dalle copertine di "Cronaca Vera" e periodici similari.
Giovanni Battista Gallus g.gallus@tiscalinet.it