Il Centro Sardo di Solidarietà L'Aquilone, che dal 1993 è diretto da don Carlo Follesa, fa parte della Federazione Italiana Comunità Terapeutiche, fondata nel 1981 e comprendente in tutta Italia altre cinquanta realtà analoghe a quella cagliaritana. Nato nel 1989 con lo scopo principale di restituire alla società quelle persone che per un motivo o per l'altro sono finite nella spirale della droga o dell'alcolismo, L'Aquilone adotta un programma terapeutico, il "Progetto Uomo", ideato presso il CeIs di Roma alla fine degli anni '70. Partendo dalla personalità del tossicodipendente, si rimettono gradualmente in discussione i suoi comportamenti e valori, guidandolo verso la maturazione di un nuovo sistema di valori incentrato sull'onestà, la responsabilità e il rispetto. Attraverso discussioni di gruppo, tese principalmente alla riflessione sui comportamenti sociali, si creano momenti di confronto per arrivare a una maggiore conoscenza di se stessi, migliorando così, insieme ai rapporti con gli altri, anche le proprie condizioni di vita. Alla base del programma educativo sta l'inserimento del disintossicando all'interno di una comunità in cui ritrovarsi con persone che condividono gli stessi problemi. Una componente molto importante per la buona riuscita del programma è la famiglia, che rappresenta l'ambiente ideale per il reinserimento e che attraverso appositi gruppi di discussione compie un percorso parallelo a quello che si svolge in comunità. Il programma terapeutico si articola in tre fasi. Si inizia con la prima accoglienza che dura due o tre mesi e si svolge presso il centro Su Masu a Elmas, in un ex silurificio dimesso dall'Aeronautica Militare e donato dal Ministero delle Finanze. In questa prima fase vengono accolti i tossicodipendenti, alcuni dei quali continuano anche ad essere seguiti dal Ser.T. della USL di provenienza che somministra loro necessari farmaci come il metadone. In questa fase non tutti gli utenti dormono in comunità. In seguito inizia la prima fase di comunità vera e propria. Nella struttura di Flumini, che precedentemente ospitava una scuola materna, vengono accolti circa 30/35 ragazzi per un periodo di circa sei mesi. La vita di comunità è scandita da ritmi precisi, cadenze quotidiane di lavoro, discussione e svago sempre assistite dagli operatori della comunità. Sono assolutamente proibiti violenza e droghe e alcolici, pena l'allontanamento, inoltre vengono razionati caffè, sigarette. In base alle capacità e attitudini di ciascuno, gli utenti lavorano presso le cucine, la lavanderia, la falegnameria, l'orto, tutti i lavori necessari alla vita della comunità. In un primo periodo avviene l'orientamento verso le norme e le regole di convivenza, ma soprattutto in questa fase si cerca di motivare l'utente al cambiamento. Segue un periodo detto intermedio di osservazione dei propri comportamenti sbagliati che si evidenziano tramite confronti di gruppo guidati da un agevolatore. Infine uno o due mesi di preparazione alla nuova struttura. Il passaggio da questa fase alla successiva avviene a gruppi di circa 8 ragazzi: il muoversi per fasce e quindi la possibilità di identificarsi in un gruppo ristretto rende il singolo più forte e sicuro di se nel difficile percorso che sta affrontando. L'ultima fase della comunità avviene ad Assemini, nell'ex Istituto Agrario di proprietà dell'Ersat, e si articola in un primo periodo residenziale di circa un anno e un secondo di quattro mesi durante il quale i ragazzi iniziano i primi contatti col mondo esterno. Passano qualche giorno a casa, escono per fare commissioni, passano diverso tempo nella comunità di Flumini dove aiutando nell'organizzazione del lavoro e devono fornire un modello a chi sta iniziando il percorso. In questa fase inizia anche la ricerca di un impiego. Alla fine del programma i ragazzi rientrano nelle loro famiglie. Dopo otto mesi di vita al di fuori della comunità, durante i quali i ragazzi continuano a incontrarsi settimanalmente per i gruppi di discussione, viene consegnato un attestato di fine programma. Nelle strutture del Centro Sardo di Solidarietà l'Aquilone, che lavora tramite una convenzione con la Regione e donazioni private di vestiario e alimenti, sono attualmente inseriti per il programma educativo 110 ragazzi, seguiti da quattordici educatori specializzati e da tre direttori, uno per ogni struttura. Al loro lavoro si affianca l'attività di circa diciotto volontari che aiutano alle cucine, o al disbrigo di pratiche accompagnando i ragazzi all'esterno della comunità. I momenti più difficili del programma sono la prima accoglienza, in cui si registra il maggior numero di abbandoni, i primi mesi della seconda fase, quando l'utente viene posto davanti alla necessità di cambiare i suoi valori e lo stile di vita. Infine è abbastanza rischioso il momento in cui l'utente inizia a riaffacciarsi all'esterno e a sentirsi forte, in quel momento capita che decida di non rientrare in comunità stanco dei due anni che vi ha passato e si perda nuovamente. Negli ultimi cinque anni di attività del Centro il sessantacinque per cento di coloro che iniziano il programma lo porta a termine e di questi il novantuno per cento riesce a reinserirsi nella società.